
Palazzo dei Papi, Avignone, 2018. Ph A.P.
“Dove siete diretti?”
Paul si strinse nelle spalle, indeciso.
“Volete venire nel nostro monastero?”
“Sì, per favore”.
“Salite”.*
Mi domandavo come mai non andavo più in chiesa a pregare e da quando? Non so. La risposta è caduta leggera, dorata di rossi e di gialli fino a poggiarsi sul prato verde;come una barchetta che galleggia in mezzo al mare calmo. Tutto intorno a me mi conduceva alla tranquillità. Intorno a me, non ho detto “dentro di me” o poco lontano da me. Il tiepido sole d’autunno, l’armonia del posto al mio sguardo è salutare per il mio essere. Dormo, mi sveglio, faccio pipì, bevo un sorso d’acqua e mi ristendo sul lettino, in giardino comincia a tirare del vento fresco, la mia testa pelata e il mio collo scoperto non gradiscono, non mi sembra certo il momento di mettere alla prova la ferita. Rientriamo in casa, Adi, ch’è meglio altrimenti ti becchi un raffreddore. Accedo la composta nel camino che mi ha preparato mamma. Ci provo, non posso abbassarmi più di tanto perché potrebbe girarmi la testa e rischierei di cadere faccia a terra, devo stare attenta a non battere il cranio allo stipite del camino, con il piede leso sullo scalino e l’altro sano sul pavimento, “Attenzione Adi a non intrecciare i piedi che puoi farti male!” Accendo la carta, e si spegne, ritenta sarai più fortunata, non mi arrendo, anche se la posizione del corpo non è dei più comodi, nel mio stato, ora. Non va. Si spegne ancora e ancora. Accidenti!!!Grr… Dovrei chiamare mamma ma lei mi ha sempre detto: “Une che n’è bbone nemmen a piccià lu foch a che serv?” E voi chiedetevi se ce l’ho fatta? Assolutamente sì. Sono qui che scrivo con la legna che arde a un metro dalla mia schiena. Il luogo di raccolta per la preghiera può essere ovunque, anche dentro di noi, basta volerlo.